Sveliamo l’alone malinconico nascosto
di ogni ricorrenza. Perché festeggiare il tempo che passa e che ci avvicina
alla fine di tutto? Non sarebbe meglio evitare l’argomento piuttosto che
piazzare qualche candelina su una torta, stappare uno spumante e così via? Mi
chiedo se quello che cerchiamo di fare in queste occasioni sia proprio
dimenticarne il motivo. Tutta la frenesia dell’arrivo dell’ultimo dell’anno non
nasconde altro che la paura del nuovo, la speranza del non ripetersi di ciò che
ci ha fatto stare male e nel frattempo anche il tentativo di dimenticare, di
cercare per forza il bello in una cosa che di bello non ha proprio niente.
Stessa cosa vale per i compleanni, anniversari e feste di ogni genere. Forse l’uomo
ha trovato l’unico modo per poter vivere con serenità il passare del tempo,
inventando l’espediente del “ridi che ti passa”.
Un altro anno è passato, la prima
cosa che verrebbe da fare in realtà credo sia un resoconto, tirare le somme e
vedere cosa si è fatto in tutto questo tempo, altro che dedicarsi al cenone. E’
come se con il rumore dei fuochi d’artificio cercassimo di segnalare una nuova
partenza, un colpo di pistola per la nuova corsa, tutti pronti sui blocchi di
partenza in attesa del momento giusto per lo scatto. Perché la partenza è
sempre meglio dell’arrivo, dà molti meno pensieri, la si vive con molta più
scioltezza e noncuranza. L’arrivo è simbolo del doversi confrontare con se
stessi, troppo scomodo per poterlo festeggiare. Allora pensiamo subito a cosa c’è
dopo, cercando di dimenticare quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle,
persone e situazioni che non si ripresenteranno più.
Festeggiamo i 18 anni pensando
alle cose che si possono fare una volta raggiunta quell’età, la patente, l’università…
dimenticando le responsabilità che iniziano a pesare, la scelta di una strada
per il futuro, la scelta della professione che ci accompagnerà per una vita
intera e che condizionerà tutto, anche le nostre future conoscenze. La laurea, “traguardo
importante” è la definizione che si legge in quasi tutti i bigliettini di
auguri con le due parole che dovrebbero spaventare di più. Ma qualcuno ci pensa
che una volta laureati non avremo più la freschezza di poter dire “domani non
ci vado a lezione”? Non so, forse sono l’unica eccezione che invece di arrivare
a rimpiangere questi anni quando ne avrò 50, inizia a farlo da adesso, in parte
sbagliando.
Il tempo, maledetto scandire di un
qualcosa che pur non avendo un’essenza è più reale del nostro esistere. Mi fa
pensare come se l’avessimo inventato per far sembrare la fine più lontana (o
più vicina?), una cosa è più vicina se non si contano i passi che ci separano
dal raggiungerla. Una volta iniziata la conta dei passi prima o poi si spera ci
si dimentichi cosa si stava contando. Ottimo tentativo di sviare la nostra
mente, inganniamo noi stessi preparando ottime pietanze, festoni colorati,
palloncini, fiumi di spumante. Ma ci riusciamo davvero? Possiamo soltanto rimandare
la resa dei conti, ma ci aspetta dietro l’angolo, pronta a spiattellarci tutto davanti.
Qual è il modo migliore di affrontare il ticchettio incessante dell’orologio?
Togliere la batteria. Dimenticare che il tempo esiste, crearne uno tutto
nostro, affrontare la vita con il nostro tempo, con la nostra unità di misura, come
meglio si adatta al nostro animo. Aver inventato un modo per misurare il tempo
ci fa solo ricordare che prima o poi l’orologio si fermerà.
I modi per affrontarlo sono
talmente tanti che anche ognuno di noi ne conta più di uno nel suo bagaglio. Io
stessa non saprei come descrivere il mio, che ondeggia tra una piena
consapevolezza di ciò che istante per istante sto perdendo e una spensierata
leggerezza nel passare la giornata senza dare troppa importanza al susseguirsi
degli eventi. Vivere nell’ottica dell’arrivo è patetico, nell’ottica del viaggio
è preferibile ma bisogna ricordare ogni tanto dove ci aspetta la folla alla
fine della corsa. Una sbirciatina a quello che ci aspetta non fa male, ci
permette di controllare ogni tanto se la strada che stiamo percorrendo ci piace
o se è il caso di cambiare corsia.
Allora la consapevolezza della
fine serve proprio a questo, a darci quell’adrenalina che ci fa alzare la
mattina, ci fa iniziare una nuova fase della nostra vita con lo stesso
entusiasmo ogni volta, senza dover rimpiangere troppo quello che è appena
finito, altrimenti vivremmo nel passato, mentre è il presente che ci pompa il
sangue nelle vene.
che dire ... la prima parte sembra scritta da me, che come ben sai odia festeggiare!
RispondiEliminaCome si dice il bello di un viaggio non è la meta ma tutti gli attimi che compongono il cammino per arrivarci ... sarò ripetitiva ma come ti ho più volte detto non pensare troppo a quello che è stato o a quello che poteva essere ma segui il tuo istinto e vivi in pieno, e come tu stessa mi hai insegnato la vita è breve e siamo troppo giovani per preoccuparcene...!!!